lunedì 30 gennaio 2012

Milena Agus: un libro "Sottosopra"


Non credo di aver mai letto un libro così piccolo e così incasinato.
Comincio col dire che, da quello che ho letto su Milena Agus, deve essere una donna spettacolare. Una che rifugge il termine "scrittrice" preferendo dire che è semplicemente "una che scrive" può entrare subito nella mia lista dei miti personali.
Ho letto qualche sua intervista e in una in particolare, intitolata "Milena Agus: scrivo come mangio", viene fuori la sua vera essenza di artista. E' bellissimo capire come la Agus trova nella scrittura un suo rifugio personale che la fa stare bene a prescindere da qualsiasi contesto, sia questo bello o brutto. Mi sono ritrovata molto nel suo carattere un po' da "pasticciona", un lato di me che ho smussato con il tempo ma che resta sempre un po' lì attaccato al mio essere. Mi ha colpito leggere che una donna del genere riesce a sentirsi sempre in errore, mitragliata dagli esami di coscienza che lei stessa si impone.
Me reading "Sottosopra"


Quando capisci che tipo di autrice è quella che scrive, capisci anche meglio COSA scrive. E' per questo che trovo fondamentale, prima di immergermi nella lettura di un qualsiasi libro, provare ad "acchiappare" tutte le informazioni possibili su chi ha creato la storia che si sta per leggere.


La storia che la Agus mette nero su bianco è veramente "Sottosopra". E questo a partire dalla struttura che gli dà. Il libro è diviso in tre parti e non c'è una vera e propria presentazione della protagonista; il lettore viene buttato quasi con violenza nella vita della ragazza, nelle sue impressioni, nel suo modo di pensare.
Alice risulta essere così un personaggio molto definito e molto ambiguo allo stesso tempo.
Non si ha una sua collocazione precisa nella dimensione spazio-temporale del libro. La sua età non è definita; si capisce che è maggiorenne (visto che abita da sola), ma spesso viene trattata come una bambina. E' una donna non-donna, una donna che non è ancora diventata tale a causa del suo trauma più grande: il suicidio di suo padre.


Alice vive in un palazzo in cui vivono tante storie strane. O sarebbe meglio dire "non-normali": la signora sessantenne del piano di sotto che cerca ancora l'amore, sua figlia Natascia che soffre di gelosia morbosa, il signore anziano del piano di sopra che è un povero americano e ha sposato una sarda ricca, il figlio di questi ultimi che vive una situazione del tutto ambigua. Il tutto concentrato nella cornice tranquilla e quasi apatica di Cagliari.
  
Non nego che, mentre leggevo il libro, ero spesso assalita da un senso di angoscia, come se quella strana calma mista a tutte quelle problematiche mi desse quasi noia. E questo è uno dei tratti più positivi del libro, perché ha scatenato in me qualcosa. Probabilmente anche cose che non avrei voluto rivivere.
I temi spigolosi che la Agus tratta sono tanti: l'omosessualità, l'emarginazione sociale, il suicidio, la follia, il sesso in età senile, la possessività.
Forse troppe cose tutte insieme, ma con un intento più che lodevole: uscire dal normale per affrontare le stranezze. Quelle stranezze che in fondo abbiamo tutti nel nostro profondo, ma che tante volte preferiamo ignorare per paura di chissà che cosa.


Vale la pena di leggere questo libro anche solo per riflettere su cosa noi tutti tagliamo dalla nostra vita per essere "normali".
E anche per trovare, pagina dopo pagina, quel filo di leggerezza triste che nasconde l'essenza della vita.
La vita di tutti.


"Dice che non devo più pensare a loro, gente inerme nei confronti della vita. Dice che non siamo mai come ci vorrebbero gli altri. Possiamo dispiacercene molto, perfino morirne. Oppure accettare di essere al rovescio, come nelle filastrocche."
(Milena Agus, "Sottosopra", Nottetempo, Roma, 2012, p.84)


SCHEDA FINALE:

COSA MI E' PIACIUTO
Il fatto che, in questo libro, l'apparenza inganna. Sembra una storiella come tante ma contiene tante verità che si trasformano in veri e propri colpi di scena.
COSA NON MI E' PIACIUTO
La tranquillità quasi innaturale che domina l'intera storia (fatta eccezione per qualche punto).

VOTO: 7

CONSIGLIATO PER CHI: non ama la normalità!

sabato 28 gennaio 2012

Abracadabra...

Allora, tanto per chiarire, sono in quella fase della mia vita che io chiamo la "fase Kinsella", cioè quella in cui la soglia più alta della mia attenzione va a tutte quelle belle cose frivole che farebbero inorridire ogni uomo etero (trucchi, shopping, creme e cremine ecc. ecc.).
Mea culpa.
Purtroppo o per fortuna (ma tendo per la seconda) sono fatta di tantissime, diverse, sfaccettature che prevalgono o meno a seconda dei periodi.
Quindi c'è il periodo in cui studio mattina-pomeriggio-e-sera, quello in cui mi va di sperimentare in cucina, quello in cui canterei sempre e mi va di scrivere canzoni, quello in cui mi appassiono per le riviste di moda e quello in cui mi bevo dei libri tristissimi e pesanti in pochi giorni.
Questa sono io, e c'è poco da fare.
E proprio in questa fase del mio essere (che suppongo svanirà la prossima settimana, non appena riprenderò in mano la tesi), oltre a spulciare le foto delle fashion blogger e a guardarmi una buona parte dei tutorial di ClioMakeUp, mi sono anche letta un bel librino leggero leggero. Mi era stato regalato un annetto fa (forse lo scorso Natale?) non so da chi e l'avevo riposto nello scaffale dei libri che "prima o poi" leggerò. Ero pronta per leggere tutt'altro quando, passando nello studio di casa mia, l'occhio mi è cascato sopra quel libro.
Il primo libro che mi ha messo i ringraziamenti in cima anziché in fondo. Miracolo!
Insomma dopo essermi letta, come al solito, la trama assieme a vita morte e miracoli dell'autrice, mi sono immersa nella lettura.

La prima cosa che mi ha colpita è il fatto che la Carroll, pur scrivendo un libro di genere femminile, è riuscita ad osare senza cadere nel banale.
La protagonista della storia è Cassandra, una ragazza che nasce con il dono della preveggenza. Assediata fin da bambina dalle zie zitelle che muoiono dalla voglia di sapere QUANDO incontreranno l'uomo della loro vita, Cassie riesce a trasformare il suo dono in un vero e proprio lavoro, rispondendo alle lettere delle fans sulla famosa rivista "Tattle".
L'intento di Cassie - che in molti punti della storia dimostra quanto, a volte, può essere crudele trovarsi proprietaria di una dote così grande - è quello di aiutare chi le scrive, tenendo ben presente il fatto che ognuno è artefice della sua vita e che quindi ciò che vede potrebbe anche non verificarsi (cosa che però, alla fine, non succede mai).

Il libro, anche solo per il genere a cui appartiene, si lascia leggere benissimo e la storia, seppur intuibile fin dalla metà del libro, è ben strutturata.


COSA NON MI E' PIACIUTO:

1) All'inizio della storia la protagonista, dopo aver letto una lettera che ha ricevuto, dice di voler andare subito dalla signora che le ha scritto; cosa che, invece, succede quasi a fine libro;
2) Avrei dato qualche capitolo in più alla storia d'amore che sboccia tra...non ve lo dico :)
3) I refusi. Io ODIO i refusi, soprattutto in romanzi pubblicati che dovrebbero essere stati riletti ALMENO da due o tre persone. E di questo, però, la colpa non va data all'autrice.

COSA MI E' PIACIUTO:

1) Come ho scritto sopra, l'autrice ha osato senza cadere nel ridicolo;
2) Il dono della protagonista risulta nel corso della lettura come qualcosa di naturale, tanto che, alla fine del romanzo, ti stupisci di non averlo anche tu!
3) Come tutti (o quasi tutti) i libri di questo genere, scorre che è una favola.

VOTO: 7 e mezzo

CONSIGLIATO PER CHI: ha voglia di leggere qualcosa di leggero e non storce il naso di fronte alla magia!

Reading "Sottosopra" di Milena Agus


giovedì 26 gennaio 2012

Occhio al Segno!

Chiunque mi conosca sa che sono un tantino fissata con i segni zodiacali.
Proprio il giusto.
Diciamo che nel mio mondo ideale, ognuno, al momento delle presentazioni, dovrebbe dire nome, cognome segno e ascendente. Il che darebbe modo di chiarire molte cose fin da subito, credetemi.
Esempio: "Piacere, Giulia Mazzoni, Acquario ascendente Toro".
Così capisci subito che ho la testa dura, una spiccata propensione all'incoerenza (della serie: "non guarderò MAI programmi di cucina", ed ecco che mi incanto a guardare Benedetta Parodi su La7) e che sono allergica alla gente possessiva (quella categoria di simpaticoni che vorrebbe comandarti a bacchetta e decidere della tua vita. Ma de che?).


Non è una questione di oroscopi, anzi.
Credo che l'oroscopo, nella maggior parte dei casi, sia un groviglio di ipotesi molto vaghe messe insieme per fare in modo che combacino PIU' O MENO con la vita di tutti quelli nati a gennaio, febbraio, marzo, aprile, e via dicendo.


L'unico che salvo, tra tutti gli astrologi, è Paolo Fox.
Ai tempi dei tempi leggevo il suo oroscopo su Cioè e, insieme ad una delle mie più care amiche, restavamo sorprese ogni volta dalle coincidenze che saltavano fuori con quello che davvero ci stava succedendo in quel momento.
Ancora oggi, a dire il vero, non nego di guardare con piacere le previsioni di Fox ogni volta che inizia l'anno nuovo. Non che ci creda particolarmente tanto (ho sentito di persone che prendono decisioni in base all'oroscopo quotidiano, apriti cielo!) però, non so per quale strano motivo, lui ci azzecca spesso, almeno su di me.
E poi, da un certo punto di vista, l'astrologia può anche essere affascinante.
E' intrigante pensare che le stelle, in qualche modo, c'entrino qualcosa con i nostri destini. E pensare che le nostre sfumature caratteriali dipendono dagli astri è una vera e propria figata.
Quando, per puro caso, mi sono resa conto che le persone con cui andavo più d'accordo erano Toro, Bilancia o Capricorno, e che quelle con cui non c'era molta affinità erano tutte Cancro, Gemelli o Pesci, ho iniziato ad incuriosirmi.
E mi sono incuriosita ancora di più quando ho incontrato gente, ad esempio, del Cancro con cui andavo d'accordo. E poi, magicamente, scoprivo che avevano l'ascendente in Bilancia.
Ho iniziato a trovare una logica di fondo a questo mondo così astratto e bizzarro, e da lì non ne sono più uscita.
Non credo nei ciarlatani che vivono di frasi fatte, ma ho fiducia nei dettagli. E l'ascendente è un tratto specifico della nostra personalità, che lo si voglia o no.
Mi piace pensare che ognuno di noi abbia un suo perché dettato dalle stelle, una sorta di legge primordiale del cosmo che guida ogni cosa. Perché, in fondo, niente è per caso.
E poi, come scriveva Manilio, "le stelle nel variare la loro disposizione, mutano i destini".




-----> Per i più curiosi, il libro di oggi è "L'oroscopo 2012" di Paolo Fox


martedì 24 gennaio 2012

Quando i SALDI ti aggiustano la giornata

Diciamolo mie care donzelle: lo shopping, se non ci fosse, andrebbe inventato.
Non sono una di quelle donne che vivono per comprare, e nemmeno una di quelle che si trascina dietro il fidanzato quando ha voglia di girare per negozi.
Anzi.
Lo shopping è un passatempo che amo svolgere in totale solitudine.
Ho i miei tempi e non ho voglia di seguire quelli degli altri.
E, come ogni altro tipo di svago, ogni tanto ne sento l'esigenza.
Oggi è stato uno di quei giorni.
Dopo una mattinata trascorsa all'università (con le ansie e le preoccupazioni del post precedente annesse) mi sono immersa nei SALDI.
Mi sono sentita un po' come Becky, la protagonista dei libri della Kinsella.
Felice di curiosare in totale libertà tra smalti, scarpe e accessori.




E tra magliette, leggins, passate, orecchini e ballerine mi sono divertita un sacco, portando a casa una refurtiva sostanziosa!

Eccovi qualche dettaglio:

Orecchini Mercato I Gigli


Maglia e Leggins Stradivarius

Perché per fare bene le cose serie, ogni tanto bisogna divertirsi :)






---> Il libro di oggi, come potete vedere dalle immagini, è  "I Love shopping" di Sophie Kinsella

Take it easy?

Se c'è un argomento su cui potrei tranquillamente scrivere un libro, quello è l'ANSIA.
Il che - va detto - non è bello.
Credo (ma non ho prove certe) che il mio stato di ansia semi-perenne sia iniziato alle medie, quando la tensione pre-interrogazioni si mischiava all'angoscia pre-adolescenza.
UN INCUBO.
Il culmine (e questo me lo ricordo bene) è stato a 15 anni, quando ho avuto il primo, famoso ATTACCO DI PANICO.
L'invenzione geniale del secolo direi. In sintesi, una paura tremenda di qualcosa che non esiste causato da qualcosa che ci turba e che dobbiamo somatizzare.
Un malanno tutto nuovo, insomma.
Non ci bastavano febbre, tosse, raffreddore, varicella, scarlattina, mononucleosi e peste bubbonica. No. Ci voleva pure lo stress.
Elemento che poi, tra l'altro, è diventato causa di trecentocinquantasettemila malattie REALI!
Incredibbile.
"Scusi dottore, mi fa male il piede sotto il mignolino destro"
"Stress"
SICURO. Diagnosi impeccabile.
Vuoi mettere quant'è più trendy dire a tutti che "sei stressato"?
Una figata.


Scherzi a parte, tutto questo ambaradan di angosce new generation mi ha fatto vivere momenti poco piacevoli.
Senso di nausea, testa informicolata, insonnia, sfoghi cutanei, mal di pancia e tutte le paure irrazionali annesse. Una gioia infinita.
Negli ultimi anni, però, devo dire che un miglioramento c'è stato.
Certe "somatizzazioni" ho imparato a gestirle. E Le varie ansie, tutto sommato, sono diminuite.
Tutte, sì.
Tranne domani.
Perché domani devo andare a parlare della mia tesi dal relatore.
E per me, credetemi, è come andare dal dentista.






----> Il libro di oggi non può che essere "Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita" di Giulio Cesare Giacobbe.



domenica 22 gennaio 2012

L'Ultima Verità


1

La carta era ruvida e spessa, quasi del tutto ingiallita.
Don Adelmi guardò ancora una volta la busta sigillata.
Quella carta da lettere era la stessa di tanti anni prima.
Per un attimo la sua mente ritornò indietro, a quando tutto doveva ancora cominciare.
Il ricordo del volto di quella donna gli perforò lo stomaco.
Si mise a sedere sulla poltrona di pelle che stava davanti alla scrivania e realizzò che quella lettera poteva essere stata scritta solo da una persona.
Una persona che aveva incontrato tanti anni prima.
Quando lui si sentiva ancora vivo.


2

Sara accarezzò il legno liscio del cassettone.
Non sapeva cosa avrebbe trovato lì dentro; non ci aveva mai pensato veramente, prima di allora.
O forse, ci aveva pensato troppo.
Era sempre stato lì, sotto ai suoi occhi: un mobile in stile barocco dotato di tre cassetti e di un'apertura superiore. Un pezzo d'arredamento a cui sua nonna era sempre stata inspiegabilmente affezionata.
Nessuno, finché la donna era rimasta in vita, aveva mai capito perché continuasse a portare avanti un rapporto così morboso verso quell'oggetto. In fondo, quel mucchio di legno non aveva nessun valore economico né affettivo per la loro famiglia.
Ma, d'altronde, che nonna Marina fosse una persona strana, era ben noto.

Sara aveva avuto modo di conoscere il carattere ambivalente di sua nonna più di chiunque altro.
Quando era piccola, i suoi genitori lavoravano a tempo pieno, e lei veniva scaricata a casa di Marina ogni santo giorno. Lì, tutto sommato, trascorreva delle giornate piacevoli, e, al contrario dei suoi, la nonna le lasciava guardare la televisione ogni volta che voleva. A dirla tutta, quando stava lì, Sara poteva fare tante cose che a casa sua non poteva fare.
Solo su un punto, però, sua nonna era stata sempre categorica: la sua camera era e doveva rimanere off limits.
In realtà, Marina era ostile un po' con tutti: per lei, meno gente entrava in casa sua e meglio era.
A Sara questo non sembrava un granché come impedimento; in fondo, che ci doveva mai fare in camera di sua nonna? Molto meglio stare in giardino a saltare la corda o in salotto a guardare il suo programma preferito.

Questo, almeno, era il suo pensiero a cinque anni.

3

Don Adelmi finì di leggere il giornale mentre beveva la sua tazza di caffè. La dose di caffeina andava ad aggiungersi ad una notte di vera e pura insonnia.
La busta era ancora sul tavolo del salotto, intatta, e questo pensiero non faceva che tormentarlo dalla sera prima.
Aprirla avrebbe significato soltanto dar vita alle sue vecchie cicatrici.
Non ce l'avrebbe fatta.

Ritornò davanti alla scrivania dello studio. Per la prima volta dopo tanto tempo gli tremarono le gambe.
Si sedette sulla poltrona, e con un tagliacarte aprì il suo timore.
In mezzo a qualche foto, intravide un piccolo biglietto.
Prese un grosso respiro, si fece il segno della croce e lo aprì.

4

Sara aprì il primo dei cassetti.
Dopo la morte della nonna, la casa sembrava un mausoleo. Nessuno aveva messo più piede lì dal giorno del funerale. Sua madre aveva detto che dopo qualche tempo l'avrebbero sistemata e magari affittata, per guadagnarci qualcosa, ma, per il momento, tutto lì dentro sembrava fermo e privo di vita.
Da piccola, la ragazza non aveva mai dato peso alle stranezze della nonna e, a dirla tutta, in quel cassettone non ci aveva mai visto niente di speciale.
Ma adesso, all'età di quattordici anni, tutte quelle piccole proibizioni le erano tornate in mente e, unite come pezzi di un puzzle, avevano innescato in lei una bomba di curiosità.
Le sue forti imposizioni morali le avevano impedito di varcare la soglia del divieto.
Fino a quel momento.
Sara cominciò a frugare tra la biancheria ancora buona di sua nonna. Non sapeva cosa cercava di preciso, ma aveva la certezza che là dentro ci fosse qualcosa da trovare.

Passò tutto il pomeriggio a studiare gli interni di quel pezzo antico.
Non c'era niente.
Forse avevano ragione i suoi.
Forse sua nonna era una mezza pazza con attaccamenti morbosi ingiustificati.
Rimise tutto a posto, chiuse il cassettone e, prima di uscire, guardò per un'ultima volta la stanza.
La curiosità che aveva covato per anni non aveva più un senso.
Povera nonna”, pensò Sara, triste.
Poi chiuse la porta e uscì di casa, ignara di ciò che quel mobile aveva contenuto fino a un mese prima.


5

Marina Masini era morta il 9 giugno del 1999, stroncata dal cancro.
La sua vita poteva considerarsi penosamente normale all'apparenza: casalinga e mamma a tempo pieno, senza interessi o attività ulteriori.
Aveva cresciuto una figlia, Linda, che, a sua volta, era diventata madre di una bimba graziosa, Sara.
Linda aveva sempre sofferto la mancanza del padre e aveva passato la vita ad incolpare la madre di questo; in fondo, era lei che l'aveva mandato via di casa quando era ancora in fasce. Era colpa sua se non era più tornato.
Marina aveva sopportato questa tensione tutta la vita, rassegnata.
Vivere di segreti era stata la cosa più difficile da fare.
Ma questo, per fortuna, lo sapeva solo lei.

Aveva conservato il suo segreto nella sua stanza, in quel vecchio cassettone. L'aveva tenuto nascosto, protetto più che poteva e, quando aveva capito che il cancro avrebbe avuto la meglio, aveva agito.
La lettera che aveva spedito a don Adelmi le aveva fatto riportare alla mente le cose più dolorose della sua esistenza.
La tristezza di sua sorella Gilda il giorno in cui le disse di amare quel ragazzo tanto odiato dal loro padre, il trasferimento da lui imposto all'estero per fuggir via da quell'amore impossibile, la scoperta di una gravidanza indesiderata a cui non si poteva porre rimedio e di cui solo Marina conosceva l'esistenza.
Erano in Francia quando Gilda le comunicò la notizia, disperata.
Le stette vicina per tutta la gravidanza, ignara del fatto che il parto sarebbe costato la vita a sua sorella.
Quando Marina tornò in Italia con quel piccolo fagottino, trovò davanti a sé una realtà che non si sarebbe mai aspettata.
Il padre della bimba non era più quello di una volta.
Doveva agire in fretta, senza ripensamenti.

6

Ciò che avrebbe trovato la piccola Sara se avesse infranto i divieti della nonna sarebbe stato un certificato di nascita accompagnato da decine di foto.
Avrebbe visto tante immagini di sua madre da piccola, a scuola, durante le lezioni di danza. Avrebbe letto un certificato intestato a Gilda Masini, madre di Linda Masini.
Avrebbe scoperto la vera identità della sua famiglia.
Ma, nonostante tutto, Sara non sarebbe mai arrivata a scoprire il segreto che Marina aveva celato con tanto impegno.
Non avrebbe mai conosciuto il nome di suo nonno.

7

Il perdono non è ciò che ti voglio chiedere.
Me lo darà Dio, se vorrà.
Adesso però, è giusto che tu sappia.
Ecco tutto quello che non hai vissuto.

Il cuore di Don Mauro Anselmi cominciò a battere all'impazzata.

venerdì 20 gennaio 2012

La dieta? Alle olimpiadi

Stamattina, parlando con la mia estetista (mentre mi esibivo tra una smorfia e l'altra sotto la tortura della ceretta) mi sono resa conto di una cosa: non potrei MAI fare una dieta.
Cioè, mi spiego meglio.
Non ne sarei proprio MAI in grado.
Finora, per inspiegabile grazia divina, le mie innumerevoli golosità non hanno mai preso la residenza nelle mie P.d.L. - Parti-da-Limare (astenersi politici).
E questo è un vero miracolo, visto quello che ingurgito ogni giorno.
Per farvi capire meglio, se la gente un po' attempata spesso dice che ha "14 anni in testa", io posso indubbiamente affermare che peso "mentalmente 200 kg". Chiunque mi conosca può confermare.
Sono un'autentica fogna. Ho sempre fame e la mia teoria alimentare principale sta nel fatto che finché non mangio qualcosa di dolce, il pasto (qualunque esso sia), non è concluso. Senza contare che il mio grado di costanza va ben oltre il fondo della terra.
Non serve chissà quale ingegno per capire che tutto questo non andrebbe molto d'accordo con una qualsiasi dieta.
Ma analizziamo questa parola.
DIETA.
E' corta, è semplice e non incute alcun terrore. Addirittura, grazie forse agli inserti e alle riviste specializzate, questo insieme apparentemente innocuo di lettere (non a caso, l'anagramma di TEDIA) è diventato quasi fashion! Insomma, tutto il contrario di quello che dovrebbe VERAMENTE esprimere.
Dopo aver visto mia madre fronteggiarsi con una delle diete più toste del secolo, e perdere la bellezza di 15 kg, credo di aver capito almeno in parte quante sofferenze fisiche e mentali nasconda il tarlo del perdere peso.
I sacrifici e gli sforzi che stanno dietro a quella parolina insulsa sono così tanti che dovrebbe diventare a tutti i diritti una disciplina olimpionica.
Ogni persona che riesce a raggiungere il suo traguardo arrivando al proprio peso forma non se la meriterebbe una bella medaglia?
Io penso di sì, e ci aggiungo anche tanta ammirazione.
Ed è proprio per questo che oggi non vi consiglierò nessun libro o rivista o articolo su come dove o perché dimagrire (cosa che, tra l'altro, non approvo).
Perché, come ogni sport, anche la dieta ha bisogno di poche chiacchiere e di tanta, tanta determinazione.

giovedì 19 gennaio 2012

La prova dei Menù di Benedetta: SUPERATA!

Ho ormai appurato che I menù di Benedetta creano seria dipendenza.
Fino a un mese fa mi rifiutavo categoricamente di passare del tempo davanti alla televisione a veder cucinare altre persone. E credo anche di aver sfottuto in diverse circostanze quelli che invece lo facevano. Ho un'amica che è a dir poco fissata con la Parodi, e ho sempre storto il naso quando capitava di parlarne.
Ma tanto, ormai l'ho capito, CHI DISPREZZA COMPRA!
E quindi, quel fatidico giorno di fine dicembre capitai su La7 intorno all'ora di pranzo.
La Benedetta stava facendo niente popò di meno che il menù di Befana con varie accortezze per i più piccoli (es. creare la calza decorata col biadesivo, apparecchiare la tavola con candeline rosse e segnaposto con carbone, ecc. ecc.). Diciamo che il colpo di fulmine è avvenuto nel momento in cui Lei ha pronunciato le seguenti parole: "Che dolcetti potremmo mettere nella calza ai nostri figli senza che facciano troppo male?" e s'è messa a fare le gelatine di frutta.
Cioè. A-d-o-r-o.
Anche se sono un'inguaribile golosa e resto sempre folgorata dai dolci più calorici, l'idea di cucinare "roba sana" con una decina d'euro di spesa, inspiegabilmente mi attrae.
Ammaliata da questo sano fai-da-te casalingo, ho iniziato a guardare sempre più spesso il programma. E ho capito come mai quella della Benedetta NON è la solita trasmissione di cucina. Perché alla fine, se ci fate caso, di gente che in tv ti dice come impanare quello o come caramellare quell'altro ce n'è a bizzeffe. Dalla ormai storica Prova del Cuoco al nuovissimo Masterchef Magazine, di consigli e di ricette ce ne sono forse anche troppe in circolazione!
Ma lo stile della Parodi è diverso, c'è poco da fare.
A parte il fatto che lei, secondo me, è proprio nata per questo ruolo, i suoi atteggiamenti sono quelli della moglie-mamma-amica che ha sempre un sorriso da regalarti. E, cosa a dir poco stupefacente, in tutto questo non risulta mai falsa.
Se poi ci si aggiunge che, oltre a sfornare piatti sfiziosi e dolcetti golosi, ti dice anche come apparecchiare, come decorare la tavola, come creare il regalino per gli ospiti con le cose che hai in casa (prime fra tutte le maracas per la cena messicana fatte con le lampadine fulminate), allora Miss Parodi mi diventa un mito.
I consigli a fine puntata, poi, sono veramente fighi. Roba del tipo "se ti sono avanzati tot albumi d'uovo perché hai usato solo i tuorli, cosa ci puoi fare?". E lei te lo dice.
Insomma, non mi ritengo un gran cuoca, più che altro cucino per sopravvivenza, con un briciolo di stile (da affamata!). E in genere le ricette mi deprimono perché, scommetteteci quanto vi pare, non ho MAI tutti gli ingredienti. Però, stavolta, mi sa che uno strappettino alla regola lo faccio. E I Menù di Benedetta, me lo vado a comprare.

Glenn Cooper: un cervello invidiabile. Come la sua penna.

Avete mai provato a leggere Glenn Cooper?
Con lui non è stato amore a prima vista, anzi.
I miei suoceri - praticamente due divoratori incalliti di libri - mi prestarono una copia de "La Biblioteca dei Morti" nell'estate del 2009: il romanzo era appena uscito e rappresentava un vero e proprio trampolino di lancio per Cooper che, per la prima volta, faceva il suo esordio come scrittore.
Dovete sapere che, secondo le mie stranezze, nel momento in cui mi accingo a leggere un libro la prima cosa che faccio è curiosare su vita, morte e miracoli dell'autore e - non so nemmeno io perché - leggere i ringraziamenti in fondo al libro (ma di questo parlerò seduta in cerchio assieme ad un'altra decina di persone). Insomma, la prima cosa che ti colpisce di Cooper è la biografia. Cito dal suo sito:
"Glenn Cooper rappresenta uno straordinario caso di self-made man. Dopo essersi laureato con il massimo dei voti in Archeologia a Harvard, ha scelto di conseguire un dottorato in Medicina. E' stato presidente e amministratore delegato della più importante industria di biotecnologie del Massachussets, ma, a dimostrazione della sua versatilità, è diventato poi sceneggiatore e produttore cinematografico".
Mettici anche che s'è messo a sfornare romanzi, voglio dì...nient'altro??
E già con questo curriculum il signor Cooper i suoi punti, per quanto mi riguarda, se li era guadagnati.
Piena di stimoli nei confronti dell'allora nuovissimo bestseller, tra le raccomandazioni dei suoceri e la biografia dell'autore che prometteva bene, iniziai a leggere La Bibilioteca dei Morti.
Un dramma.
Alla trentesima pagina mi ero già stufata e avevo accantonato il libro sul comodino. Purtroppo (e dico purtroppo perché in questo modo tante volte mi perdo un sacco di cose) non sono una di quelle persone che riesce a violentarsi portando a termine un libro il cui interesse va sotto le suole delle scarpe. Allo stesso modo in cui credo fermamente che la scrittura VERA sia quella di getto, il rapporto con un libro deve essere immediato.
Al massimo, può concedersi una seconda possibilità.
Proprio come è successo a me con Cooper.
Diciamo che quel libro sul comodino un po' di ansia me la dava. E poi mi sembrava strano che questo libro fosse piaciuto a tutti tranne che a me. Insomma, per un motivo o per l'altro, dopo un mesetto circa dall'abbandono, il mio naso era di nuovo tra quelle pagine.
Superato lo scoglio dei primi capitoletti, finii per divorarmi tutto il libro per intero.
Una libidine.
Ma la vera e propria goduria fu leggere il seguito, ovvero "Il Libro delle Anime". In genere i "secondi libri" non sono mai soddisfacenti quanto i primi, ma in questo caso per me è stato esattamente il contrario. Se con La Biblioteca c'era voluto un po' di rodaggio per entrare in sintonia, con Il Libro è stato sesso e amore fin da subito. Sono rimasta incollata a quelle pagine per tre giorni. Bellissimi. Uno di quei romanzi che vorresti aver scritto tu. Quel tipo di opera che ti fa dire "geniale", senza aggiungere altro.
In realtà, quello che mi fa impazzire di Cooper in questo libro è il suo modo di far rivivere personaggi storici del passato (come Calvino e Shakespeare, ad esempio), per renderli protagonisti della SUA storia. L'intreccio tra prima e dopo, soprattutto in questo genere letterario che tende al thriller e all'azione, dà un risultato stupefacente. Pensare a Shakespeare che utilizza le sue armi poetiche per aiutare l'antenato di uno dei protagonisti a nascondere il segreto della sua famiglia...è geniale. C'è poco altro da dire.


Tutt'altra impressione mi ha fatto "La Mappa del Destino". Ebbene sì, anche questo riposto da una parte della camera circa un anno fa e pronto ad una seconda chance che FORSE un giorno gli darò.
Se sui secondi libri ho dei pregiudizi, figuriamoci sui terzi e sui quarti. Istintivamente, questi bestsellers con sopra scritto "Dall'autore di tizio caio e sempronio" con annesse fasce e fascette - che manco le miss - e che CASUALMENTE escono un mese prima di Natale, mi sanno di sòla (come si dice a Roma). Però devo dire che, mentre La Mappa dopo cento pagine mi ha fatto venire voglia di studiare per l'esame di diritto privato (il che è tutto dire), "Il Marchio del Diavolo", cioè l'ultimissimo book di Cooper, non mi è affatto dispiaciuto. Spulciando qua e là sul web ho trovato un sacco di critiche riferite al fatto che i dettagli della vicenda non sono curati e che, in ogni caso, questo non è più il Cooper dei primi tempi (ha iniziato a scrivere tre anni fa e già è invecchiato. Come siamo crudeli noi lettori).
Devo dire che non mi sento di essere troppo critica su questo ultimo romanzo. Me lo sono bevuto in pochi giorni e ne ho apprezzato la scorrevolezza e l'intreccio mistero-archeologia. In qualche punto, forse, Cooper ha cercato di ricalcare ciò che aveva fatto per Il Libro delle Anime, riportando in vita alcuni personaggi storici (in questo caso San Malachia e Christopher Marlowe) e collegando la loro vicenda con quella dei suoi protagonisti. A parte questo, penso che con quest'ultima opera Cooper abbia confermato ancora una volta la sua ormai riconosciuta dote di scrittore. Magari non è davvero più "quello di una volta", ma la sua bravura nello scrivere bene e nel darci quel filo di suspance resta, eccome.

"La scrittura è alchimia"...e Marco Vichi è un genio

"La scrittura è alchimia": queste le parole di Marco Vichi in una delle sue numerose interviste. Un concetto che fa totalmente parte del suo modo di vivere questa arte, e lo rappresenta a pieno. Un autore che ho avuto la fortuna di incontrare circa un anno fa e in cui ho trovato tante conferme nel mio modo di concepire la scrittura. Ma facciamo qualche passo indietro...


Ricordo bene l'incontro con Vichi, avvenuto a Viareggio durante il laboratorio di scrittura intitolato a Mario Tobino e creato da Divier Nelli. Il corso, a numero chiuso, prevedeva otto incontri con alcuni importanti autori italiani, ed era finalizzato ad avvicinare noi partecipanti al mondo della scrittura e dell'editoria. Prima di allora non avevo mai pensato di frequentare un corso del genere; d'altra parte, la scrittura non è una cosa che si può insegnare. O, almeno, così la penso io. Ma questo laboratorio sembrava diverso dagli altri, ed era strutturato in modo intelligente, senza la pretesa di "far imparare" ma con l'intento di "far conoscere". Così, ho colto al volo l'occasione e, pochi giorni prima della scadenza (imparerete che sono una di quelle persone "al-l-ul-ti-mo-se-con-do"), ho inviato il mio racconto in allegato all'iscrizione. Un mesetto dopo è arrivata la fatidica mail: you're in! (il succo era questo).


Quando vidi il programma, mi resi conto che conoscevo bene solo due degli ospiti che avrei dovuto incontrare: Marco Vichi e Marco Buticchi. Il Vichi (perdonatemi il dire toscano) aveva tenuto dei corsi di scrittura nella mia università che non avevo potuto seguire in prima persona, ma di cui mi era stato detto un gran bene. Questo, quindi, era l'incontro che, in qualche modo, mi incuriosiva di più. All'interno della programmazione del laboratorio che mi accingevo a seguire, però, Marco Vichi non era tra i primi.
Prima di lui vennero altri autori a parlarci del loro lavoro; io, come i miei colleghi, ero incuriosita da questo "nuovo mondo", e ascoltavo ipnotizzata i diversi metodi con cui questi personaggi impostavano il loro lavoro, dalla prima all'ultima pagina. Durante gli incontri, però, mi resi conto che c'era un termine - per me alquanto fastidioso - che veniva ripetuto più volte: "scaletta". Ognuno degli scrittori che ci trovavamo davanti tirava fuori, sul più bello, questa parola. Per aiutarsi a svolgere un lavoro ordinato e a non perdere sempre il filo, tutti loro ritenevano utile buttare giù una sorta di schematizzazione del proprio manoscritto.
Non so perché ma, anche se ogni parola o consiglio che sentivo uscire da quelle bocche per me era come oro colato, l'idea di accostare un procedimento così "freddo" ad un'arte che, solo per il fatto di chiamarsi così, dovrebbe essere "creativa", mi faceva un po' storcere il naso. Io ho sempre concepito la scrittura come qualcosa di istintivo, di catartico, e non ho mai calcolato ciò che volevo mettere nero su bianco. Semplicemente iniziavo a scrivere, senza sapere quale sarebbe stato il risultato finale. Solo per il piacere e l'esigenza di farlo.
Al quarto o quinto incontro, comunque, stavo iniziando a rassegnarmi al fatto che per scrivere un romanzo SERVE indiscutibilmente uno schema da seguire.
Poi, per fortuna, arrivò il momento di Vichi.
Vecchi ricordi di miti recenti...
Ricordo che nel momento esatto in cui iniziò a parlare, tutti pendevamo dalle sue labbra. Descrisse la scrittura come una incredibile scoperta che l'autore fa, come qualcosa che ti travolge e ti domina, come un "tirar fuori" storie che già esistono. Il compito dello scrittore, posseduto dal suo dovere-piacere, è semplicemente quello di raccontare qualcosa che già c'è, e che deve solo essere svelato.
Un Michelangelo Buonarroti della scrittura, insomma.


Parlò per un'ora buona e mi sembrava a dir poco incredibile che uno scrittore così bravo potesse avere la mia stessa idea sull'arte dello scrivere. Fortunatamente, la scrittura non era per tutti qualcosa da impostare in linee e schemi.
Rimasi molto colpita dalle sue parole; le scrissi con cura su un foglio che conservo ancora. Una specie di piccolo vangelo che mi ricorda, ogni tanto, cosa significa davvero essere scrittore.
Con una frase, sottolineata più volte, che ogni volta mi strappa un sorriso:
"io, delle scalette, non so proprio cosa farmene".






----> Approfitto del post per pubblicizzare il nuovo libro di Vichi, "La forza del destino", la nuova avventura del Commissario Bordelli

martedì 17 gennaio 2012

Breve presentazione

Bonjour à tout le monde!
Bene, visto che ho creato questo blog qualche giorno fa senza ancora scrivere nulla, forse è il caso che mi presenti...


Sono Giulia, scrivo da Prato, ho 24 anni (tra poco diventeranno 25), e sto per finire la specializzazione in Comunicazione Pubblica, d’Impresa e Pubblicità sotto Scienze Politiche. Ho tante passioni che sto cercando di portare avanti contemporaneamente (di cui vi parlerò più avanti) e una di queste è la scrittura. Scrivo per sfogo e tutto ciò che esce dalla mia penna - o, più spesso, dalla mia tastiera - è il risultato di un mio stato d'animo. E' un continuo scrivere di getto, insomma. E questo, il più delle volte, mi dà una soddisfazione immensa. 
L'anno scorso ho frequentato un corso di scrittura creativa - fortunatamente non uno di quei corsi "spenna-allievo" che costano un sacco e non insegnano nulla - e ho avuto modo di conoscere degli autori bravissimi (Marco Vichi e Marco Buticchi, ad esempio) che mi hanno dato nuovi input per coltivare la mia grande passione.
Questa esperienza ha fortificato ancora di più il mio interesse e mi ha fatto timidamente pensare, per la prima volta, ad un futuro da scrittrice. Mi sembra un'utopia ogni volta che ci penso, ma in fondo il primo passo è crederci.


Anche se le idee chiare sul mio domani vanno sotto lo zero, l'amore verso la scrittura è sempre stata la mia certezza.
Ma da dove si comincia?
Io, personalmente, ho dato retta al consiglio più curioso che mi è stato dato.
M'hanno detto di fare un blog.
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